Maleducati, ineducati, timidi, distratti

scortesiadi Nino Mallamaci* -"Buongiorno"...come se nulla fosse. "BUONGIORNO". "Buongiorno". E tra me e me: "Ecco, ora hanno sentito!" Quante volte vi capita di entrare da qualche parte, al tabacchino, all'edicola, al bar, in un negozio, e pensare di avere a che fare con un audioleso? O anche di salire sull'ascensore, e di salutare lo specchio, mentre chi c'è già dentro è una sfinge impenetrabile? Tempo fa, al bar che frequento abitualmente, vicino casa, c'era un uccellino che spesso entrava e cominciava a girare di qua e di là. Cercava mollichine, e dopo averne ripulito il posto fino all'ultima, usciva come era entrato, senza un cinguettio, e volava via. L'uccellino è stato sostituito da un signore il quale, varcata la soglia del bar, si avvicina al banco, consuma, poi si siede a dare un'occhiata al giornale, infine paga alla cassa e va via. Senza aprire bocca se non per chiedere un caffè, un cornetto. Hai dei baffetti sotto una testa calva, e porta dei mocassini che producono un ticchettio mentre si muove per tutto il locale. Questo è l'unico segno audio della sua presenza, oltre alle parole che pronuncia per avere ciò che gli serve. Tanto che all'inizio pensavo fosse muto, e che avesse fatto ricorso a un logopedista per farsi insegnare come dire "cornetto" e "caffè", per consentirgli di districarsi almeno al bar. Un giorno, invece, l'ho sentito colloquiare con altre persone davanti all'ingresso. Dapprima ho pensato che si fosse procurato un ventriloquo che parlava al posto suo, mentre lui muoveva solo le labbra. Ma, avvicinandomi, ho appurato che no, era proprio lui parlare, e che non era muto, ma solo maleducato o ineducato (la differenza è importante: il primo termine denuncia una responsabilità dei genitori, il secondo è più neutro: me lo ha insegnato mia madre da piccolo).

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Nella mia famiglia, a proposito, siamo stati abituati a salutare, e a dire grazie e prego, da bambinetti. Mia madre adottò un metodo infallibile: quando ci teneva per mano, se non ci comportavamo in maniera educata non diceva niente, e nulla della sua disapprovazione trapelava dal suo viso. Si limitava a stringerci la manina così forte da rischiare di rimanerci storpi a vita. Tra le buone maniere e l'eventualità di una mano offesa abbiamo scelto senza esitazioni le prime. Poi ci sono i colleghi e le colleghe ai quali, incontrandoli nel corridoio, rivolgi perlomeno un cenno di saluto. Alcuni di loro, avendo forse i "Ciao" o i "Buongiorno" contati, e temendo di non averne abbastanza fino alla fine dei loro giorni, ti passano accanto senza degnarti di uno sguardo. Altra situazione simile quando cedi il passo, o apri la porta e aspetti che qualcuno la attraversi prima di te. Il qualcuno, invece di ringraziarti a parole o inclinando il capo, procede come se tu fossi il portiere dell'albergo e stessi facendo solo il tuo dovere, non sapendo che anche il portiere è un essere umano e sarebbe il caso di non farlo sentire un manichino. E in strada? Vedi un pedone fermo davanti al marciapiede, lontano dalle strisce, e fermi la macchina per farlo attraversare. Il pedone (più spesso una donna che un uomo, e ancora più di sovente una ragazza) ti sfila davanti perso non nei suoi pensieri, ma nella sua male/ineducazione. Al che ti viene la voglia di corrergli dietro e metterlo sotto, così almeno ti guarderà in faccia per insultarti. E quando ti dicono: "No, guarda, non lo fa per male, è distratto" oppure "E' timido". Ho capito, quindi è distratto e si dimentica di mangiare, o di bere? Perché il comportarsi in maniera educata e rispettosa deve essere considerato meno importante delle normali attività quotidiane? E' timido: poi, caso strano, se si tratta di chiedere un favore, o se il timido si deve rivolgere a qualcuno col quale non si può permettere di essere meno che educato, si trasforma fatalmente in uno zerbino, tutto sorrisi, grazie, prego, si figuri, si accomodi, dopo di lei: timidi come le luci dell'albero di Natale, a intermittenza. E così ti capita che la collega che incontri ogni giorno e si gira dall'altra parte per non correre il rischio non di salutare, ma di essere salutata, un giorno ti tocca la macchina a un incrocio dove ha lo stop. Tu scendi, la riconosci, e già sul tuo viso si disegna un ghigno da Jocker: ora ti faccio pagare tutte le volte in cui non mi hai calcolato, neanche avessi la lebbra. Il danno è lieve, ma c'è e si vede. Lei, improvvisamente dolce da far venire un diabete fulminante: "Scusa, ma va bene, non si è fatta niente" e poi, senza ritegno: "E siamo pure colleghi, non mi hai riconosciuta?". Al che ti verrebbe da rispondere che non l'hai mai vista, da andare in macchina e prendere il modello per l'assicurazione e farglielo firmare seduta stante. Però sei buono, e non vuoi farle pagare il malus. Ma buono fino a un certo punto. "Siamo colleghi? Ma siamo colleghi ora che mi hai investito la macchina, o tutti i giorni? No, perché se siamo colleghi e ci conosciamo, non mi spiego perché non saluti mai". "No, fa lei, ma sai, andiamo sempre di fretta". "Sì, anche oggi, tanto che mi hai investito". "Va bene, sempre col sorriso stampato in faccia, ma la macchina non si è fatta niente". "Va bene, lasciamo stare, andiamocene. Ci vediamo a lavoro. Buona giornata". "Grazie davvero, ciao". Da quel giorno, mi saluta a un chilometro di distanza. E, quando si avvicina, le guardo la mano: per vedere se ci sono i segni della stretta tipo quella di mia madre.

*Avvocato e scrittore