Gesti semplici, amore antico

manidonnaanzianadi Nino Mallamaci* - Stamattina sono stato da mia madre. L'ho trovata come sempre a letto. Lei, che ogni giorno dall'alba iniziava a girare per casa a qualsiasi ora fosse andata a dormire, ora comincia la giornata in tarda mattinata, quando la signora che l'assiste la aiuta a prepararsi. Il tragitto successivo è il solito: dalla camera da letto al soggiorno, al divano dove sta seduta fino a quando compie il percorso contrario, la sera, tranne i due brevi intervalli per il pranzo e la cena, in cucina. A letto, il suo incarnato si confonde quasi col bianco del lenzuolo, con l'unica eccezione del verde degli occhi che macchia magnificamente quel tutt'uno omogeneo. Io mi siedo accanto, tolgo la maglietta e rimango a torso nudo, come mai sarebbe potuto accadere in passato in casa. Le maglie delle regole, oramai, si sono notevolmente allentate, così come le formalità nel nostro rapporto da adulti. Non siamo più madre e figlio, ma figlio e madre. Ed è lei, ora, a chiedere consiglio quando deve fare qualcosa, o ad accettare direttive alle quali si adatta in maniera naturale, spontanea. Il capovolgimento dei ruoli le consente anche di lasciarsi andare, di godere del giusto e sacrosanto riposo, di mente e corpo, dopo una vita spesa a badare agli altri, dalla famiglia ai bambini e ai ragazzi cui impartiva nozioni insieme a insegnamenti sul comportamento da tenere. Ieri le ho fatto un bel regalo tagliando la barba che mi ero lasciato crescere da qualche mese. In questo caso, lei è tornata madre, e io figlio. Quando la vedo fissare un punto indeterminato, o il cielo azzurro, fuori dalla finestra, le faccio sempre la stessa domanda: che c'è, mamma? Lei risponde, ma solo rivoltando le mani, appoggiate sul letto, dalla parte del palmo: niente, non c'è niente, sta a significare. Poi, qualche volta, parla di sua madre, si chiede e mi chiede dove sia, perché non la viene a trovare o perché l'ha lasciata ricoverata in questo posto, o il motivo per il quale non l'ha lasciata a casa sua, al paese.

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Io mi avvicino, e le spiego calmo che sua madre non c'è più da tanti anni. Al che lei sospira e guarda lontano, come lontano, chissà dove e a quale tempo, rivolge i suoi pensieri, la sua memoria. Stamattina, prima di andare via, ho indossato la maglietta che mi ero tolto. E lei, tornata madre, mi ha detto di sistemarla meglio sulle spalle. Le ho chiesto, accostandomi, di farlo lei. Mia madre ha alzato le mani ossute, rovinate dall'artrite, e ha cominciato a tirarla, da una parte e dall'altra, con la perizia di chi ha compiuto questa operazione chissà quante volte, sui figli e sul marito. L'ho rivista, davanti a mio padre che si preparava a uscire, aggiustargli la camicia, il cappotto, la cravatta. Le mani ferme e forti, allora. L'ho guardata, per quei cinque minuti che una volta sarebbero stati uno solo, lo sguardo attento, accigliato per la concentrazione, e tutto l'amore dei miei 57 anni, in quel momento, si è riversato come un fiume in piena su di lei. "Grazie, mamma". E non era solo per la maglietta. L'ho baciata, e inseguito dal suo "ciao tesoro", sono andato via.

* Avvocato e scrittore